Cinema

AFTERIMAGE ultimo film di Andrej Wajda, piccolo pamphlet politico

Afterimage powidoki

di Jean Luc Dutuel

Roma, giovedì 20 ottobre 2016 –

Figura centrale del cinema polacco ed europeo per 60 anni, dopo 40 films, morto qualche giorno fa a 90 anni, Andrej Wajda ha avuto il tempo di ultimare e presantare alla Festa del cinema di Roma il suo ultimo lavoro.

Afterimage powidokiAvrebbe anche dovuto sostenere l‘incontro ravvicinato con stampa e pubblico che sarebbe stato interessante, visto, che anche lui come Fo, ha vissuto ottant’anni di Storia europea ma “da un altro punto di vista”. Protagonista di questo film è il pittore polacco (ma nato in Bielorussia) Wladyslaw Strzeminski grande teorico dell’ unismo, teoria artistica alla quale giunse dallo studio del cubismo (ispirazione dall‘arte yoruba popolazione dell’Africa occidentale che cattura la realtà non la imita, si frammentata e viene vista da diverse angolazioni la cui sintesi geometrica risulta il cubo appunto) e del suprematismo (combinazione di elementi geometrici con colori vividi come elemento supremo della visione), che tendeva a stabilire unaunitàorganica di trama, colore e composizione. Tra il1926 e il1929 eseguì opere basate generalmente su due colori e tonalità. In alcune sue composizioni (1930-34) la superficie pittorica è coperta da colori vibranti che sembrano anticipare le ricerche ottico-cinetiche.

‘Afterimage’ che potremmo tradurre come “Immagine Residua” è un ritratto cupo di un artista polacco che, a differenza del suo ritrattista, è stato sconfitto da un ’ deologia politica, il realismo socialista dell‘ epoca, che si imponeva in modo univoco anche al mondo dell’ arte. La lotta tra arte e politica che ne consegue non aggiunge nulla di nuovo a quanto colto da un altro grande regista dell’ est europa come Andrej Tarkovski ma in modo più profondo, in quella pellicola che considero imprescindibile se si vuole capire veramente le potenzialità della settima arte, ovvero l’Andrej Rublev.
Il cineasta sovietico ha scelto un monaco pittore di icone a cavallo tra XIV e XV secolo per mostrare la subordinazione e l’impotenza dell’arte di fronte a qualsiasi potere dominante. Ha scelto un tempo lontano per rendere il problema più attuale (la situazione che lui stesso stava vivendo, il film fu ”congelato”dal PCUS) e soprattutto per renderlo universale. Wajda è “di un altro punto di vista”. Da 60 anni si impegna civilmente a sognare un modello di Polonia libera da ingerenze naziste, staliniste, comuniste, avendo avuto come modello Solidarnosc del suo grande amico Walesa, a cui ha dedicato un docu-film “L’uomo della speranza”, speranza, che mi sembra si sia “leggermente” sciolta nel calore dei nuovi venti di estrema destra che spirano oggi nell’ Europa dell’ Est.

Il film
fa riferimento solo di sfuggita all’ascesa artistica di Strzeminski, concentrandosi invece sugli anni successivi quando fu perseguitato per essere diventato una delle guide estetiche del partito. Quando incontriamo il pittore d’avanguardia sovietica (interpretato da Boguslaw Linda), lui è già nell’ autunno della sua parabola artistica. Famoso, ammirato dai colleghi, adorato dai suoi studenti presso la School of Visual Arts a Lodz, (è giustamente considerato come uno dei leader del movimento costruttivista, arte come costruzione e non più come rappresentazione che ha dominato l’arte rivoluzionaria dal 1920,) nel’ 48, quando inizia il film siamo in pieno clima di epurazione postbelliche. La sua fama non gli impedisce di essere risparmiato dai “cambiamenti” politici, che piovono dall’alto in questo periodo. Si rifiuta di rinunciare alla pittura astratta, nonostante la nuova disposizione ufficiale ritiene vera arte solo quella del “Realismo Socialista” che “entusiasma” le masse – un melange kitsch sovietico propagandistico. Risultato: Si ritrova prima spogliato del ruolo direzionale, a scuola che aveva co-fondato, poi le sue opere (tra cui il famoso dipinto futurista “Neo-Plastic Camera” presso il Museo di Arte di Lodz) sono ritirate dalla vista del pubblico o distrutte a titolo definitivo. Inoltre la burocrazia porta via anche la sua capacità di vivere come essere umano, gli vengono ritirati anche i buoni pasto. Viene praticamente affossato dallo stesso governo che lo aveva lodato.


Qui sta il problema del film e di tutta la poetica wajdiana. Ovvero considerare il suo personale risentimento, non con i governi di qualsiasi latutudine che opprimono in modo più o meno apparente l’essere umano, ma solo con il governo sovietico per cui nutre un risentimento personale. Lo ha dimostrato nell’ Uomo di marmo, nell’ Uomo di Ferro, in Danton, nel recente Katyn.
Questa è la grande lezione che, secondo me, non ha mai imparato da Tarkovski … Il cineasta sovietico si è sempre ribellato a tutti i governi e le ideologie non vedendo in nessuna un “Uomo della speranza,” mentre lui è stato sempre un grande nichilista dello spirito, Wajda si è fatto portavoce della corrente del disgelo finanaziata dell‘occidente di cui oggi conosciamo bene i veri scopi.
Afterimage è un racconto amaro di ingiustizia, certo, ma avrebbe potuto essere più potente, più coinvolgente, con una portata meno limitante. Anche se Strzeminski discute spesso le sue teorie influenti sull’arte, il dialogo risulta arido e non si capisce come le abbia messe in pratica in quanto non vediamo mai nulla delle sue opere.

Wajda sa benissimo che l’arte di Strzeminski è di nicchia e non volendola mostrare, ha dato involontariamente ragione al potere che lui stesso attacca. (Quando i titoli di coda arrivano, finalmente vediamo le sue vivaci tele, ci sorprendono anche con i loro colori audaci, ma è troppo poco, troppo tardi.)

La sceneggiatura del suo vecchio collaboratore Andrzej Mularczyk è, come già visto per esempio in Danton, monocorde. I dialoghi girano sempre intorno a Strzeminski, così unilateralmente incentrato sul suo mestiere, che si rifiuta di utilizzare l’energia per protestare contro gli abusi che sopporta, anche quando lo stanno letteralmente uccidendo. Tutto corretto da un punto di vista filologico ma adatto più ad una piece teatrale, che Wajda voleva realizzare, che ad una pellicola. Non vengono approfondite le relazioni umane, il rapporto tra il nostro protagonista e la giovane figlia (Bronislawa Zamachowska) è trascurato, lo studente adorante (Zofia Wichlacz), a cui lui volta le spalle, semplificato.
La Fotografia riproduce pittoricamente le tonalità grigio opaco di un’epoca repressiva – in contrasto alla propensione dell’artista per colori vividi – ma “Immagine residua” sembra più una nenia che un cantico di un‘ artista che si incammina verso la fine. Sicuramente non credo che Wajda riveda se’ stesso in Strzeminski, non sarebbe onesto intellettualmente parlando. Ha avuto problemi con il regime certamente, ma a lui è stato concesso di proporre la sua “arte” sia al cinema come in teatro, ha avuto croci di cavaliere e riconoscimenti in tutta europa ma è sempre caduto nell errore di cogliere da “un altro punto di vista”, univoco, quando l’arte, proprio secondo l’unismo teorizzato da Strzeminski propone di vedere l’oggetto raffigurato “da tutti i punti di vista”.

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