di Antonella Furci
Vibo Valentia, martedì 18 ottobre 2016 –
Chi ci segue avrà già letto dell’accesa polemica scoppiata a tutela delle Mura Greche di Vibo Valentia, di cui un nuovo tratto di esse è venuto alla luce in seguito ai lavori di scavo per la sistemazione di tubi di scolo per le acque piovane e per la riqualificazione della via Paolo Orsi.
Si tratta delle antiche mura di cinta di epoca greca del VI-III secolo a.C, di cui un precedente blocco di mura, lungo circa 500 metri e fino ad oggi lasciato in abbandono, fu scoperto nel lontano 1920 dal noto archeologo Paolo Orsi. La zona dunque, non abitata e situata nella parte alta della città, è un’area prettamente archeologica. Proprio per questo, come molti altri siti della città (Cofino, Terme romane Sant’Aloe, Belvedere-Telegrafo e Castello di Bivona) sono aree vincolate e rientrano nel progetto, nato da un accordo tra Comune e Soprintendenza, che prevede la realizzazine del Parco Archeologico Hipponion (nome antico di Vibo).
Ebbene, a seguito di problemi di smottamento della strada di via Orsi, che taglia l’area in questione, e a causa di vari allagamenti dopo le piogge nella abitazioni sottostanti, l’amministrazione comunale si è affrettata a presentare nel 2012 un progetto per la riqualificazione della via e la sistemazione di una serie di tubature per la raccolta delle acque piovane. La Soprintendenza firmò il progetto che prevedeva la sistemazione di questi tubi proprio in quell’area archeologica, consapevole – dato che a pochi metri erano ben visibili le mura greche di Orsi – che ne sarebbero venute fuori altre. E infatti, appena iniziati i lavori qualche mese fa ecco affiorare in superfice un bel massiccio blocco di antica cinta muraria che percorre circa 350 metri.
Ma cosa accade subito dopo la scoperta? Di sicuro voi penserete che si sarà innescata un’accesa battaglia tra Comune e Soprintendenza, la quale – come sarebbe normale – avrà fatto di tutto per fermare i lavori e salvare le mura. E invece niente di tutto ciò. Perchè Soprintendenza e amministrazione comunale sono entrati perfettamente in sinergia. Una sinergia però al contrario. Non solo la referente della Soprintendenza firmò nel 2012 il progetto senza alcuna “archeologia preventiva”, anche l’attuale responsabile di zona dell’ente ministeriale, che comunque monitora i lavori di sistemazione, pare non abbia fatto nulla, neanche un dietrofront (come stabilito da decreto legge) all’autorizzazione data in precedenza, davanti alla nuova scoperta. Le uniche azioni che si stanno compiendo sono i tre saggi archeologici, in corso, che a questo punto servono a capire come e dove sistemare con precisione i tubi ed evitare magari più danni possibili. Dunque, secondo Comune, Soprintendenza, e quindi Mibact, le tubazioni dovranno passare in mezzo alla mura greche, che comunque ritorneranno sotto terra anche se questa volta in compagnia di nuovi “coinquilini”: i tubi appunto, di circa 70 cm di diametro.
Una decisione quindi del Comune, che ha impuntato i piedi per portare avanti i lavori, intimorito forse dalle denunce degli abitanti colpiti dai continui allagamenti. Ma è una decisione presa, senza batter ciglio, anche dalla Soprintendenza, che di tutta questa storia è quella che ha assunto un atteggiamento alquanto ambiguo. Non solo prima di dare l’autorizzazioe al Comune non ha fatto uno studio preventivo dell’area, ma si è dimostrata anche impassibile dopo il rinvenimento delle nuove mura, del cui destino tra l’altro si è interessato solo il Comitato cittadino “Salviamo le Mura greche dall’interramento”.
Possibile, viene da chiedersi, che neanche gli archeologi che rappresentano il dicastero – loro che in altre zone d’Italia (esempio Roma) basta un coccio antico per andare in estasi – non si siano fatti prendere da compassione nel vedere una tale magnificenza antica oltrepassata da tubi e poi riseppellita, per giunta in un’area che dovrebbe essere un Parco archeologico? Possibile che non abbia trovato, e non trova, altro modo nell’ indirizzare l’amministrazione comunale, ostinata a proseguire i lavori proprio in quel punto, a studiare un’ alternativa alla soluzione, e cioè un altro percorso per le tubature di scolo? Come mai tanta accondiscendenza a maltrattare un bene culturale da parte proprio di chi, come le Soprintendenze, sono state istituite a difesa del patrimonio archeologico italiano ( e per “italiano” si intende anche Magna Grecia)? E ancora, a distanza di tanti anni dalla scoperta del primo tratto di mura greche, nel 1920, può essere accettate ancora la giustificazione del “seppelliamo i reperti perchè non ci sono le risorse finanziarie adeguate”?
Non possono quindi che suonare “strane” le dichiarazioni del sottosegretario del Mibact Ilaria Borletti Buitoni – riportate sul Quotidiano del Sud sabato 8 ottobre – che in risposta alla petizione del Comitato pro-Mura greche dice così : “apprendo dagli uffici periferici e centrali del dicastero che la vicenda è seguita con attenzione dall’ufficio di gabinetto, così come dalla direzione generale competente. Ma vista l’assenza al momento di un progetto e di un finanziamento specifici per la conservazione e valorizzazione del tratto di mura individuato durante gli scavi, nonché l’inderogabilità della sistemazione della raccolta delle acque, la valutazione espressa dai nostri tecnici circa la soluzione del re-interro è adeguata ai fini di una efficace tutela”. La sistemazione di tubi e il reinterro sarebbero dunque “un’efficace tutela”. È un po’ come se un medico per evitare di impegnarsi a curare un paziente preferisse lasciarlo morire. E a questo punto ti domandi perchè il medico dovrebbe continuare a fare il medico e ad essere pagato.
Sinceramente tutta questa vicenda mi ha messo in non poche difficoltà. È la non chiarezza che mi ha confuso sin dall’inizio. Da un lato c’è una città che nonostante il suo ricco passato, deve fare i conti con le problematiche (e non sono poche) della modernità. Non è facile far conciliare antico e presente. Ancor di più se da molti anni si alternano amministrazioni comunali che si dimostrano impreparati davanti alla questione di “sviluppo culturale”, inteso come valorizzazione e tutela; progettazione di un adeguato piano di fruibilità dei luoghi da visitare; slancio della città verso una economia basata sul turismo culturale. Ma se da un lato c’è un Comune che continua ad avere difficoltà nel prendere in mano questa importante tematica, è anche vero che da anni c’è una Soprintendenza che sembra non richiamare come dovrebbe, in modo determinante e propositivo, l’attenzione delle amministrazioni sulla questione del bene da tutelare. Alla luce dei fatti, sembra si sia comportata più come “un’amante accondiscendente” che come una “suocera petulante”, che comunque avrebbe consentito di dare una scossa alla comatosa situazione in campo archeologico. Così dopo molti anni che Vibo, come molte altre città calabresi, aspetta di veder splendere il suo patrimonio storico è da considerarsi inaccettabile la dichiarazione: “dato che non si dispone di finanziamenti è meglio seppellire i reperti perchè almeno saranno tutelati”. I progetti di valorizzazione dei luoghi di cultura devono essere sì di interesse dei Comuni, ma è anche vero che a fare da guida dovrebbero essere le Soprintendenze.
Indipendentemente dal tempo trascorso dalla scoperta delle prime mura da parte di Paolo Orsi, in epoca dove il concetto di ‘valorizzazione’ era pressochè semisconosciuto, in età moderna e da quando il Mibact è stato istituito (1974) quanto è stato fatto a Vibo per valorizzare l’area? Nulla. Solo adesso, in seguito a una tranche di finanziamenti Pon e Por (di 3 mln e 600 mila euro), sono stati finalmente avviati lavori di restauro della parte delle mura di Orsi e di altre aree della città, come Sant’Aloe, Cofino, Belvedere-Telegrafo e Castello di Bivona, finora solo prati verdi. Ma da come stanno le cose, nulla lascia presagire un finale positivo. In queste aree infatti gli scavi sono bloccati a causa di problemi giudiziari dell’impresa aggiudicataria dell’appalto.
Dunque, tralasciando questo, bisognava attendere più di quarant’anni per avere qualche finanziamento, che comunque non fa sperare niente di buono? Quindi, alla luce di quanto fatto o non fatto, credo sia più che legittimo non essere soddisfatti del modo di agire di chi ha una certa responsabilità e invece pare si defili.
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