di Jean Luc Dutuel
Roma, domenica 23 ottobre 2016 –
Venerdì sera è toccato al film iraniano Immortality di Mehdi Fard Ghaderi essere proiettato alla Festa del Cinema di Roma, che si conclude proprio questa sera.
Che cosa ci rende immortali? Un treno. Fermo per un guasto. Sette microstorie sei negli scompartimenti, più quella del tecnico che arriva dall “esterno” per risolvere il problema. Un piano sequenza di 145 minuti con personaggi che entrano ed escono dall’inquadratura mentre camminano inquieti nei corridoi alla ricerca di qualcosa. Mehdi Fard Ghaderi,ennesimo rappresentante ,appena trentenne, di questa nouvelle vague iraniana che da almeno 15 anni ci delizia con dei piccoli,grandi capolavori, basti pensare Amini, Farhadi, Kiarostami, Makhmalbaf, Panhai, Shakib, e le donne Samira Makhmalabaf e Marjane Satrapi, ci racconta “semplicemente” il desiderio di l’immortalità racchiuso nell’uomo. Semplicemente perchè il tutto, non avviene attraverso assurdi discorsi filosofici o improbabili metafore ma attraverso storie “vere”, di vita quotidiana che si intrecciano in una caleidoscopica successione di eventi in un treno, simbolo primario dello spostamento terrestre (quindi del cinema), che per antonomasia si muove diritto verso una meta e che quando si blocca ,come in questo caso, perde ” il Senso” riportando la realtà ad un moto confuso e circolare.
Sette microstorie che nascondono un precedente dolore.
Una gravidanza interrotta,un amore senza speranza,un matrimonio (cristiano-musulmano) irrealizabile, un’impossibile guarigione da un grave incidente, una difficile elaborazione di un lutto, una malattia che divora e una rara sindrome che anestetizza varie parti del corpo a periodi alterni.
Sette (notare le origini mitraico-cabalistiche del numero) frammenti di vita vera, con gioie e dolori in un meccanismo di narrazione non sequenziale a inteccio in cui passato, presente e futuro sono scanditi dal passaggio nel corridoio laterale, adiacenti agli scompartimenti, metafora della vita dove tutto semplicemente accade. I dialoghi, anche se lunghi, teatrali, risultano sempre in funzione della storia senza mai scadere in vuoti estetismi.
Quando uno dei protagonisti cita un haiku, avviene per ricordare momenti lieti e tristi, felici e tragici della sua esistenza…” settembre, vento scuote foglie ingiallite, fuoco brucia dentro, osservo pesci rossi in un’ ampolla.” Come contrasto il personale del treno che rappresenta “L’autorità” politico-religiosa, ricordo che in uno stato teocratico come l’Iran i due poteri coincidono, con infinite regole, non si possono comprare patatine in uno scompartimento diverso, non si vendono fiammiferi, no sigarette, non si può disturbare il momento della preghiera ma sempre pronta a farsi corrompere,a cedere ai compromessi, alle debolezze umane tout court. Anche la figura del tecnico, la settima microstoria, è una presenza esterna densa di simboli:lui sa perché il treno è veramente fermo. Soffre di una rara malattia che fa addormentare parti del corpo in periodi diversi, sonno della ragione che ha generato (e genera) mostri nei secoli nella storia infinita del paese.
Qual è quindi questa forza che ci rende immortali? I personaggi maschili a turno ripetono le frasi sempre rivolte ai personaggi femminili: “Quando ti guardo mi sento immortale” ,”Quando ti tocco mi sento immortale”, “Quando ti penso mi sento immortale”, alternato ad un arcaico canto persiano, rituale propiziatorio che a turno gli uomini ripetono mentre accompagnano la loro donna che, con gli occhi chiusi come in un mantra, lo segue come segno di fiducia incondizionata nel corridoio esistenziale del treno della vita.
Donna che diventa Isfendar divinita persiana che tutela castità femminile e pace famigliare. In una società iraniana profondamente maschilista diventa la vera protagonista del film, sono i personaggi femminili che si impongono, dalla bambina, alla ragazza, alla giovane madre, alla signora matura,all anziana moglie e madre, sono loro che con le loro scelte influenzano le sorti delle vicende su un treno apparentemente fermo ma secondo la concezione orientale in moto ciclico,sono loro che decidono i destini incrociati dei personaggi verso un finale sorprendente.
Dura lezione per il cinema occidentale.
Che cosa ci rende immortali quindi? E’ la forza del tempo e della vita che vale la pena di aver vissuto nel bene come nel male, nonostante tutto, attraverso i corridoi dell esistenza che da brevi, bui e angusti dell’inizio sembrano diventare larghi,lunghi e luminosi nella carrellata finale dove tutto è alle spalle ma nello stesso tempo tutto è dentro di noi, dove seguiamo il tragitto di uno dei protagonisti verso la fine che già è un nuovo inizio. Immortale appunto.
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