di Jean Luc Dutuel
Roma, sabato 22 ottobre 2016 –
Continuano le proiezioni dei film presentati alla Festa del Cinema di Roma. In totale sono 48 della selezione ufficiale, tra questi “Irréprochable” del francese Sébastien Marnier.
Dalle prime immagini del film si pensa che si voglia ritrarre solo un personaggio al femminile vittima della crisi economica e sociale dei nostri giorni. A poco poco che si dipana la trama però, veniamo a conoscenza del disturbo di personalità di questa donna,single, anche se nulla scopriamo (e scopriremo) su chi veramente lei sia, di che cosa sia capace, fino a dove possa spingersi questa sua lucida irreprensibile follia.
Ottima l’ironia del titolo per una donna che è tutto: ninfomane, schizofrenica, paranoica, cleptomane, tranne irreprensibile appunto. Perde il lavoro (settore immobilare a proposito di crisi) sostituita da una ragazza giovane e di bella presenza,ha un menage con due uomini che rappresentano i due lati del suo carattere, dolce e sensibile l’uno,competitivo e aggressivo l’altro e più aumenta il suo disagio e la perdita di uno scopo,più lei sprofonda in una sorta di cosciente delirio, che sposta le corde finali del film decisamente verso il thriller. Un noir quindi, ma non come si possa immaginare. Molti gli spunti di riflessione, ovviamente tutti concentrati sul personaggio principale che non annulla però il ruolo dei co-protagonisti.
Sebastien Marnier, 33 anni, entra nel “cinema che conta” con questa sua opera prima dopo aver scritto tre romanzi, ”abitudine” che, lui dice, di non voler abbandonare.
Irréprochable è il ritratto di signora nell’era della crisi, vittima di una sorta di nevrosi consapevole e compulsiva, un male che ancora oggi in psichiatria non si riesce a capire a fondo, più del classico sdoppiamento di personalità ormai archiviato e superato, ci troviamo di fronte ad una persona che alterna stati mentali difformi come veglia apparente, incapacità di distinguere realtà, sogno, e di una grande capacità immaginifica che riesce perfettamente a controllare. Mantiene infatti inalterato il suo fascino seduttivo da risultare molto credibile come manipolatrice.
Ricorda in questo caso La Kidman di “To die” di Gus Van Sant, una delle sue opere migliori,ma mentre la protagonista del regista americano agisce in un mondo, come quello yankee, dove “c’è sempre un fine”, come può essere la ribalta televisiva, in questo caso il fine è imbevuto di cultura europea fino al midollo, un fine esclusivamente autodistruttivo.
Molto convincente ancora una volta la prova di Marina Fois, vero perno della pellicola, riesce a rendere la patologia mentale della protagonista superando ampiamente gli stereotipi del genere.
Il film non manca di momenti di sottile humor che servono a stemperare la crescente tensione, mai una caduta di tono, stile asciutto, crudo, sguardo duro verso una realtà sociale che si annuncia sempre piu’ inquietante. Non manca l’empatia dell’ autore verso il suo personaggio, ma si sa, sempre verso gli emarginati destinati alla sconfitta si concentrano i temi del noir anche quando segue percorsi narrativi differenti. Sovvrapponendo i due piani come metafore, la realtà sociale e la confusione emotiva e mentale della protagonista se in questo film fossero racchiuse doti di prevegenza extrasensoriale, allora nulla di buono ci aspetta, il finale si rivela a dir poco agghiacciante.
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