Movie Report 2016: ecco migliori film usciti nelle sale italiane dal nel 2016. Nel report non troverete film premiati o candidati all’Accademy Award
di Jean Luc Dutuel
ROMA – Anche per questo nuovo anno non è stato semplice estrapolare i migliori film usciti nelle sale italiane dal primo Gennaio allo scorso 21 dicembre 2016. In altri Paesi è molto più semplice stilare un elenco dei film migliori. E’ come la ricetta per una minestra di verdure. Si prendono i festival di Berlino, Cannes, Venezia, un po’ di Toronto, Torino, Rotterdam, qualche bijou autoriale sfuggito ai più e la giusta ventina di film si manifesta. In Italia questo non può avvenire per un semplice motivo: i film dei festival sopra citati, Venezia e Torino inclusi, vengono distribuiti con notevole ritardo o non distribuiti affatto. Unico momento in cui il cinema in Italia cerca di identificarsi con la cultura cinefila coincide con la corsa all’Oscar. Molti spettatori per vedere tutti i film candidati improvvisano un vero campionato, sullo stile calcistico, per poi tifare al momento della cerimonia di consegna della prestigiosa statuetta-scudetto (come è accaduto con Di Caprio nel’anno appena trascorso) per il film con il loro giocatore preferito.
In questo report non troverete film premiati o candidati all’Accademy Award (Oscar), e non per una questione di faziosità o snobismo intellettuale, ma per il semplice fatto che Hollywood maschera, attraverso la produzione infinita di animazioni spesso fotocopia o saghe Dc Comics o Marvel, non tanto un vuoto creativo – non credo a questa banalità – quanto la paura di osare, di raccontare storie scomode come avveniva fino al secolo scorso. Qualcuno lo chiama 9/11 block.
Ma ecco l’elenco dei 21 film usciti durante l’anno appena passato che (forse) non si estingueranno. Inizio partendo a ritroso:
21) Spira Mirabilis di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti
E’ l’unico film italiano che troverete nel percorso. Un autentico gioiello di due documentaristi arrivati al sesto lavoro. Da un’idea sulla rigenerazione cellulare ci si interroga attraverso immagini mirabilis straordinarie appunto sulla permanenza della vita sul pianeta. Si passano in rassegna i quattro elementi naturali, aria, acqua, terra, fuoco. Omessa la voce off, scelta per dare risalto alle immagini che vanno vissute seguendo la propria linea emotiva, senza didascalismi. Da proporre ai ragazzi.
20) La ragazza senza nome (La fille inconnue) di Jean Pierre e Luc Dardenne
Prosegue il viaggio nelle storie più reali del reale dei più grandi registi che il Belgio abbia mai conosciuto. Protagonista ancora una volta una donna, un medico stavolta, capace di quel controllo emotivo che è alla base della loro linea narrativa, nonostante le situazioni al limite del parossismo da sembrare assurde. Mai quanto la realtà.
19) Parola di Dio (The student) di Kirill Serebrennikov
Film sottovalutato ma era scontato soprattutto nell’Italia intollerante di oggi, in quanto si parla di un giovane cristiano integralista che si erge a baluardo contro la corruzione degli attuali costumi sociali (anche in senso letterale tra l’altro se la prende col bikini). Il film supera brillantemente l’eccessiva teatralità attraverso una notevole padronanza tecnica ma forse pecca di un eccessivo idealismo dell’autore. Con maggior cinismo avrebbe realizzato un capolavoro.
18) L’ultima parola. La vera storia di Dalton Trumbo di Jay Roach
Quando in una sala d’essai di Parigi vidi “E Johnny prese il fucile”, per me un vero cult, non riuscivo a capacitarmi che l’autore fosse lo stesso di una commedia per me insulsa allora come oggi di ‘Vacanze Romane’. Di idee comuniste, era nella black list di McCarthy, e per non aver risposto alla commissione sulle attività anti-americane fu condannato a quasi un anno di prigione. Il film seguendo un montaggio non cronologico lo tratteggia per quello che è stato, marito e padre assente, amante del bere, pieno di fissazioni. Coerente nelle sue scelte ha preferito firmarsi con pseudonimi piuttosto che accettare di denunciare colleghi. Ottima la prova del protagonista Bryan Cranston.
17) Io, Daniel Blake di Ken Loach
Palma d’oro a Cannes, stavolta Ken the Red ha scontentato sia pubblico che critica. Cannes come accade negli ultimi anni sta diventando il più reazionario dei festival, eppure il film di Loach è un buon film. Il problema principale rimane che non aggiunge nulla di nuovo alla sua filmografia che ci ha regalato film e, aggiungerei, emozioni straordinarie. Continuare a parlare di disagio sociale, occupazione ad un pubblico che lo segue da trent’anni, all’epoca (il pubblico) adolescente e rivoluzionario, oggi ultra quarantenne benestante e probabilmente benpensante, è impresa ardua oltre che paradossale.
16) Neon Demon di Nicolas Winding Refn
Fischiato a Cannes, – ripeto è un festival reazionario, diventato mercato per un cinema commerciale falso e consolatorio – ancora una volta l’autore dimostra il suo enorme talento visivo con la costruzione di scene folgoranti giocate proprio sulle luci al neon del titolo, riprese con vecchi lenti anamorfiche per dare più morbidezza ai volti con maggiore attenzione per i blu, rossi e viola. Trama pretestuale per un viaggio agli inferi dove tutto quello che conta è l’apparenza, il corpo perfetto della giovane protagonista del film che le donne cannibali desiderano come promessa di gioventù eterna, mentre gli uomini continuano ad essere relegati a vuoti comprimari.
15) Il figlio di Saul di Laszlo Nemes
Oscar a film straniero meritato non tanto per la storia, si parla di olocausto e la filmografia sull’argomento è ormai ridondante, quanto per la scelta stilistica originale dell’autore. La Mdp è sempre sul protagonista. Lo inquadra di spalla in campo medio, in PP primo piano, PPP primissimo piano per sottolineare la sua reazione a quello che avviene intorno a lui. Grida di persone, le fornaci in piena attività, prigionieri che spalano cenere, pallottole dei soldati. Tutto percepito ma non-visto. Tutto molto reale, come in un incubo.
14) Al di là delle montagne di Zhang-ke Jia
Due film in uno in questa opera di uno dei pochi autori cinesi rimasti dopo l’occidentalizzazione dei più famosi che sembrano occuparsi più dei capitali che degli attori. Sguardo su una Cina che cambia attraverso la scelta di una donna divisa tra la passione di due uomini. Finito il capitolo che si svolge in Cina l’autore annuncia il titolo del film quando la scena si sposta in Australia. L’opera cambia, assume i toni della soap-comedy, dialoghi molto veloci, occidentali, da lasciare perplessi e spiazzati. Tutto voluto come precisa scelta stilistica. La Cina non sarà il massimo ma il mondo al di fuori è futile liquidità?
Ottima interpretazione come sempre di Zhao Tao, miglior attrice del momento.
13) Paradise di Andrei Konchalovski
Ancora l’olocausto. Stavolta in un’ottica diversa. Tre personaggi tra luce e ombre. Il nazista indaga sulla corruzione, il poliziotto francese è nazista collaborazionista, la donna ebrea è prigioniera. Labile il confine tra bene e male. Grande scelta dell’autore è non mostrare un lager stile Hollywood con gli orrori gratuiti alla Schindler List ma piuttosto attenersi alla revisione storica di Hannah Arendt dove è la banalità del male a creare la vera angoscia. Notevole la fotografia. Alcune scene ricordano Cartier-Bresson.
12) Frantz di François Ozon
Ispirato all’ ‘Uomo che ho ucciso’ di Lubitsch, immerso in un bianco e nero contemporaneo e vitale mai da cartolina, Ozon ridefinisce il melò con temi moderni, non a caso siamo nell’Europa post Grande Guerra. Un mondo fondato su determinati valori assolutistici è scomparso e nasce quello della grande industria borghese. L’ipocrisia regna sovrana e l’omosessualità in certi ambienti è tollerata ma solo se occultata. Il protagonista, soldato francese inganna due volte la fidanzata tedesca di Frantz, morto in guerra, prima spacciandosi per amico del defunto, poi corteggiandola per nascondere la sua natura omosessuale. Lei capisce e perdona, lui la abbandona senza spiegazioni. Vigliacco fino in fondo. Attenzione alla giovane protagonista Paula Beer. Un talento.
11) Knight of Cups di Terrence Malick
Continua il processo di Malick nel distruggere ogni tipo di narrazione, di storia. Il Cavaliere di coppe del titolo riprende la carta dei tarocchi che segna il cambiamento affettivo, la vitalità dell’amore se la carta esce dritta, altrimenti è il tradimento. L’incipit, solo pretestuale, allude infatti ad un artista in crisi affettiva più che artistica. L’autore porta avanti la sua ricerca visiva attraverso dialoghi frammentati, slegati che si ricongiungono in un loop più spaziale che temporale. La bellezza non sono le immagini in se’ stesse come molti affermano ma il continuo movimento della mdp che le lega in un montaggio non consequenziale, grandangolare, privo di ogni facile prospettiva che dà il vero senso alle scene. Un paesaggio spaziale che colpisce retina – sensi, senza passare dalla mente, troppo lenta nell’elaborazione visiva. La natura è sinonimo di wonder, noi siamo solo piccole pedine mutevoli e volubili sempre alla ricerca di nuovi amori che difficilmente però ripagano l’aspettativa.
10) Nocturn Animals di Tom Forde
Raccontare una storia per andare oltre la storia che si sta raccontando. Meta narrativa. Non è prerogativa di tutti gli autori e Tom Forde con quest’opera entra a pieno merito nel regno dei migliori. Una donna riceve un romanzo dall’ex marito che racconta la loro storia. Sentimenti, passioni e vendetta. Questi gli ingredienti dosati ad arte e mai banalizzati per parlare poi di questioni sessuali legate agli ambienti privilegiati. Montaggio e fotografia notturna di un’estetica folgorante. Decoupage delle scene con sfondi di tonalità monocroma di grande impatto visivo.
9) Lo and Behold di Werner Herzog
Secondo documentario della classifica. Stile classico rispetto a Spira Mirabilis con l’autore come sempre in versione di intervistatore. Come al solito il grande cineasta tedesco sempre avanti nei tempi ha realizzato il documentario che mancava, quello della rivoluzione web e i suoi effetti nella società. Herzog non è mai dietro l’obiettivo e gli intervistati non guardano noi ma parlano con lui, non guardano in camera, insomma non fingono come nella maggior parte dei documentari. La mdp riprende scene con precisione perfetta ma anche mossa, a mano per rendere il tutto più naturale possibile. L’autore ha un misto di fascino e angoscia per il web, come qualsiasi persona over 30 dotata di capacità di giudizio neutro, inoltre lui studia le persone che intervista, le analizza, un vero entomologo che si chiede cosa stia veramente accadendo al nostro mondo. Si arriva anche alla fantascienza (forse). In futuro il web sarà in grado di sognare?
8) The Hateful height di Quentin Tarantino
Non è voluto. Giuro. Mettere gli odiosi otto all’ottavo posto è frutto di semplice coincidenza. Si è parlato molto che non ci troviamo di fronte al Tarantino migliore ma dai tempi di Pulp Fiction sembra ormai un mantra. Se Tarantino piace, è sempre il migliore allora. Un western teatrale e claustrofobico immerso in un’atmosfera cupa in una tensione crescente di tre ore. Rimandi al teatro parigino del Grand Guignol, e in effetti il sangue abbonda, dove gli otto sono tutt’altro che odiosi. Patetici, irascibili, animati da un furore sacro, ognuno insegue la sua giusta causa. La scena finale dell’attesa della morte ormai inevitabile è semplicemente grande cinema.
7) Rememeber di Atom Egoyan
Film di genere (meno male) che non si vergogna di manifestarlo come accade sovente, nascondendosi dietro a locuzioni create dall’attuale giornalismo incompetente, thriller postmoderno, horror revisionista, ecc. Rememeber è un ottimo thriller, interpretato da ottimi attori, questo conta. Ma non solo. Sembra di tornare indietro nel tempo, quando ad un cinema di genere gli autori associavano riflessioni sulla condizione umana, creando dei capolavori. Sicuramente capolavoro il film non è, ma se si tornasse a puntare su questo tipo di film ne guadagnerebbe critica e pubblico.
6) Anomalisa di Charles Kaufman
Finalmente l’animazione. Non è quella della pixar, disney, dreamwork, ecc. E’ quella che mi piace, che ha il sapore artigianale, mi ricorda i cartoni animati cecoslovacchi che vedevo e disegnavo da bambino. Si chiama stop-motion. Disegni tridimensionali mossi a mano frame by frame, come fossero tante fotografie unite insieme da un movimento fluido per 90 minuti, molto dura da realizzare, ma il risultato è ottimo. Lisa, l’anomala è una team leader di un call center di cui il protagonista si innamora non tanto per le qualità estetiche quanto per la sua anomalia, ovvero avere una voce diversa dagli altri. Metafora sull’alienazione e l’omologazione, film che in altri tempi sarebbe stato a portata di tutti, oggi diventa di nicchia. Peccato.
5) E’ solo la fine del mondo di Xavier Dolan.
Giornalisti embedded in Italia la chiamano famiglia unita, addirittura arcobaleno quando è frutto di unioni plurime, neologismo di matrice orwelliana ma nella realtà il concetto è chiaro: la famiglia di matrice classica, eterosessuale, con prole è ormai alla fine. Dolan ce lo dice da tempo e stavolta con l’aiuto di un testo ancora più intenso e profondo arriva direttamente a colpire il lato emotivo dello spettatore. Qualche critico l’ha sconsigliato il sabato sera, momento secondo lui da trascorrere proprio in famiglia. Mi sembra vuota ipocrisia. Un bel film si vede quando si ha l’animo per essere ricettivi e se accade di sabato sera, ben venga.
4) El clan di Pablo Trapero
L’Argentina di Videla non era solo una spietata dittatura ma anche un mondo dove attraverso gli agganci politici una famiglia criminale poteva rapire, uccidere rampolli di famiglie ricche e passarla liscia. Ecco la banalità del male versione gaucha in cui il capofamiglia, persona rispettabilissima con moglie insegnante e figlio campione di rugby conduce una doppia vita, con un negozio da mandare avanti, in realtà una copertura, e delitti efferati. Ottima l’idea del montaggio con i flashforward che spezzano la narrazione classica, portandola in una dimensione atemporale. In effetti target del film non è tanto la famiglia di assassini o il potere della dittatura, quanto la maggioranza silenziosa che vede tutto e non agisce mai.
3) Desde Alla’ di Lorenzo Vigas
Film che con merito ha trionfato a Venezia 2015. Storia di un voyeur omosessuale che paga i ragazzi giovani solo per il piacere di masturbarsi. Finche’ non incontra Elder. Un giovane arrogante e violento con cui nasce un rapporto più profondo. Altra metafora della società odierna, dove l’incomunicabilità regna sovrana e dove soprattutto non c’è nessun riscatto, anzi il finale è di quelli che devono far male perché riflette quello che siamo diventati: vuoti e indifferenti. Da sottolineare un’altra interpretazione straordinaria di Alfredo Castro.
2) Neruda di Pablo Larrain
Vittima e carnefice. E’ questa la linea che Larrain ha scelto per parlare di un altro grande personaggio della storia del Cile del Novecento. Non si tratta della biografia romanzata del protagonista quanto di un confronto con un ipotetico ispettore di polizia che controllava la sua attività di comunista impegnato contro il governo. Tecnica notevole con il recupero della rear projection americana degli anni ‘30 per le scene in auto, con creazione di sfondi proiettati appunto, e mdp sempre in funzione asimmetrica senza mai aderire alla soggettiva dei protagonisti. Biopic anomalo quindi, mai dalla parte del protagonista, assolutamente visto con l’occhio freddo e impassibile dell’autore che continua a guardare la storia del novecento dal punto di vista dei suoi personaggi, figure fastidiose, presuntuose, dispotiche ma mai banali.
1) Le memorie dell’acqua di Patricio Guzman
E’ ancora un documentario che vince questa mia simbolica classifica 2016. Ed è sempre cileno. L’acqua è l’elemento primario del nostro mondo, tutti lo sanno ma molti non sanno che l’acqua lascia con se’ una scia, un ricordo del passato come se avesse una memoria con le sostanze con cui viene a contatto. Splendida metafora ma forse anche teoria scientifica per raccontare le devastazioni di un Paese come il Cile, che prima ha subito la violenta colonizzazione spagnola, poi è stato teatro di feroci dittature fino al 1990 circa. Sintomatica la sequenza del ritrovamento del bottone di perla, offerta ai nativi in cambio della civilizzazione, ritrovato attaccato ad un binario dove Pinochet faceva attaccare i cadaveri degli oppositori per farli andare a fondo nell’Oceano. Immagini sublimi immerse nel silenzio dell’Oceano per un film che vuole dimostrare come ci sia anche nella natura una forza che ci spinge a non dimenticare. Le immagini appunto, il cinema serve a questo. Se vince l’oblio perdiamo noi stessi.
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