La mostra su Piero della Francesca indaga sul mito di questo grande artista. Dalla fortuna in vita all’oblio, alla riscoperta che ispirò generazioni di artisti.
di redazione
FORLI’ – Al grande artista del Rinascimento, al ‘monarca della pittura’ come lo aveva definito Luca Pacioli, i Musei San Domenico dedicano una grande mostra. Dal titolo “Piero della Francesca. Indagine su un mito” è visitabile fino al 26 giugno 2016. È organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi, in collaborazione con il Comune di Forlì e sotto la direzione del coordinatore Gianfranco Brunelli. Tema della mostra è l’affascinante rispecchiamento tra critica e arte, tra ricerca storiografica e produzione artistica di Piero della Francesca nell’arco di più di cinque secoli.
Il percorso espositivo va dalla fortuna in vita, all’oblio, alla riscoperta di questo grande artista che “ispirò” generazioni di artisti, da Edgar Degas a Edward Hopper. Alcuni dipinti di Piero della Francesca, scelti per tracciare i termini della sua riscoperta, costituiscono il cuore dell’esposizione. Accanto ad essi figurano in mostra opere dei più grandi artisti del Rinascimento che consentono di definirne la formazione e poi il ruolo sulla pittura successiva. Per illustrare al meglio la cultura pittorica fiorentina negli anni trenta e quaranta del Quattrocento, sono esposte opere di un certo prestigio. Le quali portano la firma di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno.
Esponenti di punta della pittura post-masaccesca, che costituiscono una salda base di partenza per il giovane Piero. Ma la mostra vuole anche mettere in luce i primi riflessi della pittura fiamminga, da cogliere negli affreschi del portoghese Giovanni di Consalvo. Nei quali l’esattezza della costruzione prospettica convive con un’inedita attenzione per le luci e le ombre. Man mano che si affermò come pittore, i suoi spostamenti tra Modena, Bologna, Rimini, Ferrara e Ancona determinarono l’affermarsi di una cultura pierfrancescana nelle opere di artisti emiliani. Come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Cristoforo da Lendinara, Bartolomeo Bonascia.

Importanti sono i suoi influssi nelle Marche su Giovanni Angelo d’Antonio da Camerino e Nicola di Maestro Antonio. In Toscana, con Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli e a Roma, con Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano. Ma l’importanza del ruolo di Piero della Francesca è stata colta anche a Venezia, dove Giovanni Bellini e Antonello da Messina mostrano di essere venuti a conoscenza del suo mondo espressivo. Dal confronto, che apre la mostra, tra la ‘Madonna della Misericordia’ di Piero della Francesca e la ‘Silvana Cenni’ di Felice Casorati, si arriva alla nascita moderna del suo “mito”. E questo attraverso gli scritti dei suoi principali interpreti: da Bernard Berenson a Roberto Longhi. La riscoperta ottocentesca di Piero della Francesca è affidata a importanti testimonianze che vanno dai disegni di Johann Anton Ramboux alle straordinarie copie a grandezza naturale del ciclo di Arezzo eseguite da Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury, di cui fece parte anche la scrittrice Virginia Woolf. Il fascino degli affreschi di Arezzo sembra avvertirsi nella nuova solidità geometrica e nel ritmo spaziale di Edgar Degas. Un simile percorso di assimilazione lo si ritrova in pittori sperimentali e d’avanguardia come i Macchiaioli. Ma cenni pierfrancescani si ritrovano in Seurat e Signac. Nei percorsi del postimpressionismo, tra gli ultimi bagliori puristi di Puvis de Chavannes, le sperimentazioni metafisiche di Odilon Redon e, soprattutto, le vedute geometriche di Cézanne. Dall’Ottocento si arriva al Novecento, che per più aspetti è definito il “secolo di Piero”. Per l’incrementarsi dello studio verso la sua opera, per la centralità che gli viene riconosciuta nel panorama del Rinascimento italiano. La sua opera è tenuta come modello da pittori che ne apprezzano di volta in volta l’astratto rigore formale e la norma geometrica, o l’incanto di una pittura rarefatta e sospesa, pronta a caricarsi di inquietanti significati. La fortuna novecentesca dell’artista è raccontata confrontando, tra gli altri, gli italiani Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Sironi e altri, con fondamentali artisti stranieri come Balthus e Hopper. I quali hanno consegnato l’eredità di Piero alla piena e universale modernità.
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