Arte

Solitudine e disincanto nell’arte di Alberto Sughi

Solitudine e incomunicabilità. Alberto Sughi, il pittore che nei suoi dipinti ha dedicato una personale ricerca al malessere interiore dell’uomo e della società.

 

di Antonella Furci

In questi difficili giorni di quarantena ci sentiamo tutti un po’ soli. Al riparo nel chiuso delle nostre cose, anche se in compagnia dei propri cari, ci sentiamo comunque soli. Persi davanti all’imprevedibilità del perfetto sconosciuto: il covid-19. Lontani dagli affetti, dagli amici, dai colleghi, ci sentiamo sospesi nell’incertezza di questi giorni. Immersi nel mondo virtuale di internet e dei social, rimaniamo vicini e allo stesso tempo lontani in attesa che tutto passi e si torni ad affollare piazze, vie del centro, bar e locali. Non più soli ma tutti insieme appassionatamente tra la folla di gente, a confonderci nel frastuono delle città in movimento. Ma davvero non eravamo soli in mezzo agli altri? In mezzo alle tante maschere pirandelliane, tra ipocriti sorrisi e relazioni di convenienza? Eravamo davvero in compagnia o solo illusi di vivere nella società del sovraffollamento fuori e nei social, in cui tutti hanno da mostrare e dire sempre e perennemente qualcosa, pur conoscendo poco o nulla. Davvero non eravamo (siamo) soli in quella (questa) società che con smartphone sempre in mano, si affretta a immortalare il momento vissuto passivamente e non intensamente. Modernità o no, non c’è società in cui l’uomo non si abbia provato solitudine. Anche l’arte ce lo dice. Testimone oculare di processi storici, l’arte affiora in questo momento come saggia narratrice, e magari suggeritrice. Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo su Edward Hopper, rappresentante del realismo americano, vissuto nella prima metà del XX secolo. È conosciuto per i suoi interni d’appartamento, per gli scorci solitari di città e per i locali e bar semivuoti. Motivo per cui è considerato l’artista della solitudine.

                      Alberto Sughi, La finestra sul mare, 1995 Foto: © albertosughi.com

L’articolo parla di come i suoi dipinti possono essere considerati ottimi interpreti della situazione difficile di adesso. Con l’Italia e il mondo chiusi in casa a proteggersi, lontano dagli affetti, dagli amici, dalle vie affollate. Ma Hopper non è l’unico interprete della solitudine dell’essere umano. C’è il più attuale Alberto Sughi (1928-2012). Ancora più di Edward Hopper, è Alberto Sughi ha dedicato tutto il suo lavoro ai temi della solitudine umana. Raffigurando l’incomunicabilità, l’impossibilità di un dialogo, l’alienazione e più in generale la difficoltà di vivere. Li ha descritti come male interiore sempre presente nel corso dei tempi segnando nel profondo l’essere umano.
Alberto Sughi (1928 – 2012) è uno dei massimi protagonisti della pittura italiana nella seconda metà del Novecento. Apprezzato per la sua impietosa indagine sulla condizione umana, segnata da solitudine e disincanto. Le sue opere riprendono interni di bar e cinema, salotti dove si celebrano certi riti sociali, stanze in cui si consuma la vita familiare o ci si rifugia per rapporti d’amore. Massimo rappresentante del realismo esistenziale, esordisce come pittore all’inizio degli anni ’50. In un’intervista Alberto Sughi disse: “ho rappresentato la solitudine, il rapporto con la natura, il teatro d’Italia, ho fatto tutto quello che in fondo potevo incontrare e conoscere nei momenti di questo Paese”.

                                  Alberto Sughi, Autoritratto, 1974. Fonte © WikiArt

Il pittore si dedica infatti a una personale ricerca volta al malessere interiore dell’uomo e della società. Per questo figure umane solitarie e senza meta sono i suoi soggetti preferiti. La cronaca sociale e la malinconia sono presenti anche nelle opere che espone nel 1958 a Milano e nuovamente a Roma. I suoi dipinti si fanno sempre più cupi e il racconto acquista toni gelidi e aspri.
Agli inizi degli anni Sessanta l’opera di Sughi registra significative influenze da parte di Francis Bacon, sia nelle deformazioni fisiche dei soggetti ritratti sia nelle ambientazioni spaziali.
Il suo percorso artistico procede per cicli racchiudono temi iconografici specifici e mutazioni stilistiche. Del periodo 1971-1973 appartengono le cosiddette “Pitture verdi” dedicate al rapporto uomo-natura; del 1975-1976 invece il ciclo “La cena”. Mentre all’inizio degli anni Ottanta risale il ciclo “Immaginazione e memoria della famiglia”. Dal 1985 lavora invece al tema “La sera”. In questa serie di opere l’artista riflette sul valore della stessa esistenza in una società in cui trova le sue risposte nel denaro, nella politica e nella scienza. Le sue ultime opere infine appartengono al tema della marginalità dell’arte. Nel corso della sua lunga carriera, tante le mostre antologiche di Alberto Sughi. Tra queste quella alla Reggia di Caserta (1984), al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (Roma 1986) poi trasferita a Budapest e a Praga. La mostra a Ferrara (1989), a San Paolo del Brasile (1994), a Urbino (2000), a Firenze, Sansepolcro e Cesena (2003) e molte altre. Fino a quella del 2007 a Roma al Complesso del Vittoriano.

 

 

Immagine d’apertura: Alberto Sughi, Guardare fuori, 1985
Foto: © settemuse.it

 

 

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