The Donor di Qiwu Zang è la pellicola che ha conquistato la giuria del 34° Torino Film Festival aggiudicandosi un meritato primo premio
di Jean Luc Dutuel
TORINO – Un film “meravigliosamente penetrante e poetico nella narrazione e nella performance. E’ la nuova voce del cinema cinese”. Juan Zeng Zhe / The Donor di Qiwu Zang è la pellicola che ha conquistato la giuria del 34° Torino Film Festival (tenutosi dal 18 al 26 novembre) e si è aggiudicato un meritato primo premio. Benvenuti a Shanghai, cuore pulsante e vivo della nuova Cina.
Ventiquattro milioni di abitanti, la più popolosa metropoli del mondo, la città dei funky cool hutong (si potrebbe tradurre vicoletti tipici, caratteristici), dell’avveniristico Financial Center di Pudong, del lungo e ampio boulevard, il Bund, della Shanghai Tower, degli edifici Shikumen nati da un connubio architettonico tra oriente e occidente e soprattutto luogo dove si svolge la storia di questa pellicola.
Qiwu Zang, assistente di Zhang Yi Mou, ci conduce nel cuore di tenebra di una città-regione attraverso una storia classica e contemporanea nello stesso tempo, classica perchè ricorda molto un certo cinema italiano, quello della commedia anni ’50, periodo del boom economico dove si rideva amaro, scoprendo l’altra faccia del benessere, contemporanea perché elimina ogni luogo comune su un cinema catartico e retorico. Qui siamo a Shanghai nel 2016 e non c’è assoluzione. Per nessuno. La storia è molto dura ma così realisticamente vera, da generare uno spontaneo contatto empatico con i personaggi.
La trama, pretestuale, per raccontare questo viaggio agli inferi, un vero Maelstrom che tutto ingoia racconta “semplicemente” la vendita di un rene da parte di un commerciante a cui gli affari vanno male, alla sorella di un giovane “nwb” new wealth builder della nuova finanza cinese. Tutta da seguire la vicenda che avrà dei risvolti mai scontati tanto da spiazzare le certezze di un certo tipo di spettatore.
Il regista Qiwu Zang è attivista per i diritti delle fasce deboli, si batte contro lo sviluppo irregolare della crescita economica che sta spaccando in due il paese. E’ saggista e critico di cinema, un personaggio sicuramente da scoprire, affascinato da questioni morali che narra con sagace maestria.
Domande semplici pone: fino a che punto si può arrivare per comprare un uomo, per togliergli ogni briciolo di dignità rimasta; se hanno ancora senso le relazioni famigliari senza ipocrisia; a che livello di egoismo possiamo arrivare. Eppure nel cinema di oggi sembrano questioni dimenticate.
Con i suoi colori cupi da grigia estetica urbana, la colonna sonora ambient ossessiva scandita dal rombo dei treni, dal frastuono delle auto, la messa in scena non risulta mai ovvia quasi a voler nascondere dietro una patina di normale quotidianità il moloch che divora le anime. La fotografia impastata, torbida, getta lo sguardo su un popolo che sta conoscendo un’espansione economica senza precedenti ma a cui non corrisponde, come sempre un’equa distribuzione salariale, mentre direttamente proporzionali risultano cinismo e avidità.
Tutti perfettamente in parte i protagonisti, spogliati di ogni sorta di facile manicheismo, ognuno ha le sue ragioni per inseguire un suo obiettivo a conferma, che scopo del film è far risaltare un sistema in crisi e non gli individui, inutili pedine funzionali al sistema stesso. Gli attori come nello stile del cinema cinese rifiutano ogni tipo di istrionismo, anzi, il protagonista, diverse volte, lo sentiamo più che vederlo, intuizione notevole che porta ad un espandersi della concentrazione dello spettatore ed ottime le pause che non troncano mai la sequenza, gettando una forte inquietudine e un continuo coinvolgimento emotivo.
Anche quest’anno a Torino abbiamo scoperto un vero e proprio gioiello. Verrà distribuito in Francia, circuiti off europei, e in Italia? Non si sa, (come sempre) dura la vita del cinefilo nel Bel Paese.
E’ una pellicola troppo lontana dallo stereotipo funky cool hutong molto di moda ora nel turista low-cost ma speriamo esista ancora da qualche parte qualche novello Marlowe che ai tipici vicoli da cartolina, che fanno tanto “esotico”, preferisca l’addentrarsi nel cuore di tenebra.
Foto in alto: google images
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