Vincent Van Gogh era un’anima difficile, ma dentro aveva tanto da esprimere come dimostra l’inestimabile tesoro della sua arte
Rubrica a cura di Rosario Rito
“L’arte dovrebbe confortare chi è disturbato e disturbare chi è comodo”, sostiene Banksy. Credo che con questa frase si possa riassumere l’opera artistica di Van Gogh. Sembra desiderasse proprio questo, il grande pittore postimpressionista olandese. Nient’altro che comunicare il suo stato d’animo, le sue ansie, la sua tribolazione vitale, che molto spesso, lo ingabbiavano in attimi di ribellione e solitudine immensi. Ma tutto questo era frutto di una mente disturbata? O forse voleva essere solo se stesso, non di più, non di meno. Ed esserlo grazie all’arte, che poteva concedergli questa meravigliosa occasione. J. Moréas ha scritto “il carattere peculiare dell’arte simbolica consiste nel non approdare alla concezione dell’idea in sé”.
Vincent Van Gogh era un’anima difficile, ma dentro aveva tanto amore da donare agli altri e lo ha fatto attraverso l’inestimabile tesoro che ha lasciato al mondo, la sua arte. Era afflitto da una depressione cronica, se così possiamo chiamarla, che fu confusa dai dotti del tempo e non solo, con la pazzia. Pazzia che lui stesso aiutato dal fratello Theo, decise di provare a curare in un manicomio a Saint-Rémy-de-Provence a pochi chilometri da Arles. Ma probabilmente l’angoscia, la depressione, la follia derivavano da una singolare forma di epilessia di cui egli era afflitto. Nonostante tutto Van Gogh continuava a lavorare senza sosta e senza ricevere alcun riconoscimento.
Dopo una serie di alti e bassi, sia fisici che mentali, e dopo aver prodotto una serie sconvolgente di capolavori, muore nelle prime ore del 29 luglio 1890, sparandosi. Anche se la tesi del suicido è messa in discussione da una nuova biografia condotta da due storici dell’arte Naifeh e Smith.
Ma vorrei soffermarmi su ciò che mi trasmettono alcuni suoi i capolavori.
Il raccolto del 1888, che è quello che l’artista stesso considerava uno dei quadri meglio riusciti, ritrae l’ampia e assolata pianura che circonda Arles. In esso troviamo colori caldi che ci avvolgono e ci portano in una visione quieta della natura e della vita, d’altra parte questo dipinto rispecchia un momento particolarmente sereno vissuto da Van Gogh. Ma la sua vita come abbiamo detto non fu sempre serena, e la sua pittura documenta le inquietudini che tormentavano il suo animo, e il colore diventa il vero protagonista dei suoi quadri. Trascorre gli ultimi anni della sua breve vita alla ricerca frenetica di un linguaggio volto a cogliere la vera essenza della realtà, vista attraverso l’intensità dei propri sentimenti.
Il raccolto del 1888, che è quello che l’artista stesso considerava uno dei quadri meglio riusciti, ritrae l’ampia e assolata pianura che circonda Arles. In esso troviamo colori caldi che ci avvolgono e ci portano in una visione quieta della natura e della vita, d’altra parte questo dipinto rispecchia un momento particolarmente sereno vissuto da Van Gogh. Ma la sua vita come abbiamo detto non fu sempre serena, e la sua pittura documenta le inquietudini che tormentavano il suo animo, e il colore diventa il vero protagonista dei suoi quadri. Trascorre gli ultimi anni della sua breve vita alla ricerca frenetica di un linguaggio volto a cogliere la vera essenza della realtà, vista attraverso l’intensità dei propri sentimenti.
Il disaggio emotivo e psichico si denota fortemente nel quadro Campo di grano con volo di corvi del 1890, forse questo fu l’ultimo suo dipinto. Qui la veduta del campo di grano non è più solare e serena, ma assume un aspetto decisamente drammatico, le pennellate violente e scomposte ci trasmettono il profondo tormento che dilaniava l’animo di Van Gogh. A prima vista può sembrare un miscuglio di colori, buttati lì e associati a caso, ma sono invece il risultato di un impulso istintivo che racchiude ciò che l’arte dovrebbe rappresentare: l’immaginazione. Se non fosse così, l’arte non sarebbe fonte di emozioni e sensazioni, che sono l’ABC di ogni artista.
Oltre ai colori molto forti, in mezzo al campo di grano vi sono tre parti che appaiono come se fossero calpestati da qualcuno, ma proprio dal fatto che sono pennellate buttate distinto, esse non hanno una meta precisa. E il blu col nero che compongono un cielo assalito da corvi, altro non è che il preavviso di una tempesta interiore.
Van Gogh fu uno dei primi artisti a comunicarci che l’arte non dev’essere fotogenicità del reale, ma del sensitivo. Quel sensitivo che nelle sue pennellate ricercava e nella propria esistenza mai trovò.
“Van Gogh non era pazzo. Si è avvicinato al sole, prima cercandolo, poi fuggendone via, vi è rimasto impigliato, con un filo che mai più ha districato, stingendolo nella mano …”, scrive Marco Goldin, uno dei massimi studiosi di questo grande artista olandese nel suo libro “Van Gogh, l’autobiografia mai scritta”, ed. La nave di Teseo, 2020.
“Van Gogh non era pazzo. Si è avvicinato al sole, prima cercandolo, poi fuggendone via, vi è rimasto impigliato, con un filo che mai più ha districato, stingendolo nella mano …”, scrive Marco Goldin, uno dei massimi studiosi di questo grande artista olandese nel suo libro “Van Gogh, l’autobiografia mai scritta”, ed. La nave di Teseo, 2020.
Immagine d’apertura: Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, 1890
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